di Elisa Heusch
ARTE E IMMAGINE- L’agenzia Magnum Photos e l’intero mondo della fotografia piangono una grande perdita avvenuta pochi giorni fa: lo scorso 9 novembre ci ha lasciati a 79 anni il fotografo francese Bruno Barbey.
Egli è stato vicepresidente della suddetta agenzia Magnum Photos per l’Europa nel 1978/1979 e presidente di Magnum International dal 1992 al 1995, e l’annuncio della scomparsa è stato dato proprio dalla stessa Magnus, dove era entrato all’età di 25 anni. Le sue fotografie continuano a tutt’oggi ad essere celebrate a livello internazionale in numerose mostre e libri e grazie al suo lavoro nel 2016 era stato eletto socio dell’Accademia delle Belle Arti di Parigi.
Nato nel 1941 in Marocco, dove ha trascorso l’infanzia, Barbey nel 1958 si trasferì in Francia per studiare al liceo a Parigi; quindi si recò in Svizzera per studiare fotografia all’Università delle arti e dei mestieri della città di Vevey. Sull’onda de “Les Amèricans” di Robert Frank e de “Les Allemands” di René Burri, Barbey realizzò il progetto intitolato “Les Italiens”: una raccolta di fotografie che documentavano l’Italia da nord a sud nel periodo che va dal 1961 al 1964, catturando l’animo della nazione italiana rialzatasi dagli orrori della guerra, ed in pieno boom economico.
Per quel reportage in bianco e nero pubblicato dall’editore Robert Delpire, entrò in contatto con Marc Riboud e Henri Cartier-Bresson e nel 1966 entrò a far parte di Magnum.
Io ho avuto la fortuna di poterlo conoscere dal vivo lo scorso anno, esattamente a febbraio 2019, nelle sale della Fondazione Carispezia della città di Spezia, durante il periodo di esposizione della mostra “Un mondo Giovane – Le nuove generazioni nello sguardo dei fotografi Magnum”.
Tale mostra, curata da Alessandra Mauro, si componeva di undici diverse storie fotografiche, realizzate da celebri fotografi dell’agenzia Magnum, ripercorrendo il settantennio dagli anni Cinquanta fino ai giorni nostri; ognuna di queste storie era dedicata – attraverso vari aspetti – alle nuove generazioni, ai giovani che da sempre cercano di cambiare il mondo adulto su cui si affacciano.
Partendo dal filone degli anni Sessanta, Barbey è stato presente ad una delle cosiddette “giornate Magnum” organizzate presso la mostra, e ha parlato al pubblico riguardo al suo lavoro “Maggio ‘68”, testimonianza delle rivolte studentesche del fatidico Maggio francese. All’epoca egli aveva 25 anni e si sentiva politicamente vicino al movimento studentesco. Le sue immagini esposte raccontavano l’esaltazione e la rabbia che erano proprie di quel periodo, il caos generale, ma anche la straordinarietà di una stagione che si è rivelata irripetibile nell’arco della storia.
Oltre al dolore che si stava vivendo, ad emergere è proprio la solidarietà tra i giovani, espressa per esempio dalla fotografia raffigurante una catena umana di ragazzi che si passano di mano in mano le pietre che andranno a formare le barricate. Egli ha rappresentato sia i cortei e la folla, che i singoli paladini o guide del movimento, come nel caso della foto dello studente Mustapha Saha, uno dei fondatori del movimento 22 Marzo, ritratto mentre attende la polizia antisommossa, seduto su una barricata di fortuna. O come del caso del ragazzo raffigurato mentre si erge al di sopra della fiumana, in equilibrio sopra un semaforo con il pugno alzato, con piazza della Bastiglia sullo sfondo. Il profondo desiderio di cambiamento che si avvertiva in quei giorni, per il quale i giovani erano disposti a tutto, emerge fortissimo da questa serie di immagini.
È stata inoltre successivamente ripercorsa, a fine di tale giornata e con intervento personale dell’autore, l’intera carriera di Barbey (che infatti si può anche vedere ritratto in una delle immagini da me scattate, risalente agli anni ’60, insieme a tutti gli altri fotografi di Magnum dell’epoca), a conferma delle importanti e toccanti testimonianze che ci ha lasciato con i suoi lavori. Grande sensibilità e umanità al servizio dell’obiettivo fotografico e viceversa.
La sua visione umanista e la sua sensibile spontaneità hanno attraversato la seconda metà del XX secolo.
Il maestro del fotogiornalismo francese è stato testimone in tutti e cinque i continenti dei principali eventi storici: dalla contestazione giovanile del 1968 con epicentro alla Sorbona di Parigi (già sopra citata) alla guerra in Nigeria, dalla guerra in Vietnam al colpo di stato in Polonia, con i suoi reportage pubblicati su numerose riviste da “Stern” a “Life”, da “Newsweek” a “Paris Match”.
Nei primi anni Settanta Barbey viaggiò in India e in Cambogia, in Bangladesh al seguito dei rifugiati e in Iraq, dove seguì la resistenza dei curdi. L’apice della sua carriera venne toccato in Kuwait, durante la Guerra del Golfo (1990-91), dove coprì la piaga ambientale dei roghi dei pozzi di petrolio, incendiati dalle truppe in rotta di Saddam Hussein; un reportage considerato il miglior servizio sul campo di Barbey, che lo descrisse paragonandolo al film “Apocalypse Now”. Bruno Barbey è inoltre autore di una trentina di libri e ha collaborato con scrittori come Jean-Marie Le Clézio, Tahar Ben Jelloun e Czeslaw Milosz. I suoi scatti fanno parte di collezioni di importanti musei nel mondo.
Uno dei suoi ultimi lavori dal titolo “Il colore della Cina” è stato pubblicato nel 2019.
Di certo uno di quegli autori il cui segno rimane indelebile nel corso dei decenni, ed il cui impegno in prima linea sarà immancabilmente riconosciuto anche dalle generazioni a venire.